Nel 1990, a 17 anni, mi ritrovai tra le mani “Oh Say Can You Scream” degli Skid Row, una VHS che divenne per me un’esperienza rivoluzionaria. Appena la inserii nel videoregistratore, fui catapultato in un mondo dove l’hard rock e l’heavy metal non erano solo generi musicali, ma vere e proprie dichiarazioni di libertà e ribellione.
L’energia che scaturiva dallo schermo era elettrizzante. Vidi Sebastian Bach, il frontman, dominare il palco con un carisma indomito, mentre Dave “The Snake” Sabo e Scotti Hill alle chitarre crearono un muro sonoro che sembrava sfidare ogni regola. La sezione ritmica, guidata da Rachel Bolan e Rob Affuso, era potente e implacabile, conferendo a ogni canzone una spinta vigorosa che mi fece battere il piede a tempo.
Ma “Oh Say Can You Scream” non fu solo un insieme di esibizioni memorabili. La VHS mi regalò anche momenti dietro le quinte, dove potei vedere gli Skid Row in situazioni più rilassate e umane. Queste scene, piene di risate e scherzi tra i membri della band, mi fecero sentire come se stessi sbirciando in un mondo esclusivo, quasi come se facessi parte del loro gruppo di amici.
Ogni brano, ogni immagine, ogni risata catturata in questa VHS fu un frammento di un’epoca che sembrava parlare direttamente a me, a noi ragazzi che cercavamo la nostra strada, che volevamo esprimerci e far sentire la nostra voce. “Oh Say Can You Scream” non fu solo musica o intrattenimento; fu un inno alla giovinezza, un incoraggiamento a vivere con passione e autenticità.
Questo viaggio nel cuore dell’hard rock degli anni ’90 mi fece sentire parte di qualcosa di più grande, una comunità che trascendeva il tempo e lo spazio. Fu un promemoria potente di ciò che la musica poteva significare per noi giovani: un mezzo per scoprire chi eravamo e cosa volevamo diventare. E per me, a 17 anni, non c’era niente di più eccitante di questo.