Correva l’anno 1991 quando ebbi l’irripetibile opportunità di assistere, con il cuore in gola e l’adrenalina a mille, all’esclusiva proiezione milanese del capolavoro di Oliver Stone “The Doors”. Fin dal primo fotogramma, capii che quella che stavo per vivere sarebbe stata un’esperienza cinematografica destinata a scolpirsi per sempre nella mia memoria emotiva.
Il film è un’immersione totale nella parabola artistica ed esistenziale di Jim Morrison e della leggendaria band The Doors, un vortice di emozioni che cattura l’essenza stessa di un’epoca di rivoluzioni culturali come gli anni ’60. Stone ricrea con maestria le atmosfere psichedeliche e il clima elettrico di ribellione giovanile che accompagnarono l’ascesa del gruppo, facendoci rivivere quei momenti con un’intensità sconvolgente.
Ma è l’interpretazione magistrale, quasi sovrumana, di Val Kilmer nel ruolo di Jim Morrison a lasciare senza fiato. L’attore si fonde con il personaggio, diventa Morrison, riproducendone il carisma magnetico, la voce inconfondibile e la sensualità felina con una verosimiglianza che toglie il respiro. È come se il Re Lucertola prendesse vita davanti ai nostri occhi, emanando un’aura di fascino e pericolo che ci ammalia e ci turba al tempo stesso.
E poi c’è la ricostruzione maniacale, ossessiva dei dettagli storici. Ogni costume, ogni location trasuda anni ’60, catapultandoci nei luoghi mitici che diedero i natali alla leggenda dei Doors: il Sunset Strip, Venice Beach, il Whisky a Go Go. Ci sentiamo parte di quell’epoca, ne respiriamo i fremiti creativi, la sete di ribellione, l’energia incontenibile.
Stone ci trascina anche nei meandri della mente visionaria di Morrison, usando effetti psichedelici strabilianti per renderci partecipi dei suoi trip lisergici e dei suoi stati di coscienza alterata. È un’esperienza sensoriale totalizzante, che ci fa percepire la potenza evocativa della sua poesia come mai prima d’ora.
“The Doors” è un film che ti scuote nel profondo, che esplora senza filtri il lato oscuro del sogno americano e il prezzo divorante della fama. È un ritratto crudo, a tratti disturbante, di un’icona maledetta sempre in bilico sull’abisso dell’autodistruzione, ma anche un inno all’arte come forza primordiale e indomabile.
Sono passati più di trent’anni da quella proiezione milanese, ma il ricordo di quell’esperienza è ancora vivido, bruciante nella mia mente. “The Doors” di Oliver Stone non è solo un film: è un viaggio nell’anima stessa del rock, un’epopea visionaria che ti segna per sempre. È l’essenza stessa della musica che prende vita sullo schermo, travolgendoti con la sua potenza primordiale. Una pellicola che non si limita a raccontare il mito di Jim Morrison, ma te lo fa vivere sulla pelle, fin nelle viscere. Un capolavoro senza tempo che continua a incantare, turbare, emozionare con la stessa forza dirompente di trent’anni fa. Per chi ama il rock, per chi vuole essere parte della sua storia, “The Doors” non è un film: è un’esperienza irrinunciabile, una porta spalancata sul sogno, sul mistero, sulla follia di un’epoca irripetibile.