Slaughter: Quando Las Vegas Incontrò l’Hair Metal

Quasi trentacinque anni fa, nel 1990, gli Slaughter irruppero nel mondo della musica con “Stick It To Ya” attraverso una buona promozione anche in Italia. Per me fu amore a prima vista. A diciassette anni, quel disco rappresentò moltissimo nella mia vita ma non potevo immaginare che dietro quelle canzoni si nascondesse una delle storie più affascinanti dell’hard & heavy. A differenza di tante altre band hard rock di fine anni ottanta e primi novanta, gli Slaughter avevano radici profonde a Las Vegas, una città non certo considerata una fucina di talenti rock. Mark Slaughter, con la sua band Xcursion, fu uno dei pochi che osò sognare di fare rock duro in una città dominata dai casinò e dagli show di cabaret. Mark era molto orgoglioso delle sue origini, anche se all’epoca moltissimi scapparono da Vegas per cercare fortuna a Los Angeles o New York. Il destino volle che un giorno, in uno studio di registrazione, un tecnico di nome Dana Strum, successivamente bassista e cuore della band, sentisse una voce straordinaria durante una sessione di cori. Quella voce apparteneva a Mark Slaughter e il momento del loro primo incontro entrò nella leggenda. Dana, incredulo di fronte a quel registro vocale così particolare, chiese a Mark se stesse fingendo o se cantasse sempre così. La risposta di Mark, che si definì “una specie di soprano nel coro”, fu l’inizio di una delle partnership più interessanti dell’hair metal e della storia del rock ‘n’ roll.

Gli Slaughter non furono solo un’altra band dell’era dei capelli cotonati e del trucco esagerato, furono l’anomalia: una band di Las Vegas in un genere dominato da Los Angeles, un gruppo che scriveva e produceva tutto da solo in un’epoca di produttori blasonati e costosissimi. “Stick It To Ya” fu successo immediato, con hit pazzesche come “Up All Night”, “Fly to the Angels” e “Spend My Life” che imperversarono su MTV e centinaia di radio.

Nel 1992, mentre il grunge stava scalzando l’hair metal dalle classifiche, gli Slaughter pubblicarono il bellissimo “The Wild Life”, raggiungendo l’ottava posizione in classifica in America. La band dimostrò ampiamente che si poteva venire da Las Vegas diventando un gruppo di successo.

Ciò che distinse sempre gli Slaughter dalle altre band dell’epoca fu il loro approccio genuino alla musica e ai fan. In un’era in cui molte rock star costruivano muri impenetrabili tra loro e il pubblico scesi dal palco, gli Slaughter mantennero quello spirito accogliente, simpatico e amichevole come segno distintivo: dormirono a casa dei fan, suonarono concerti improvvisati, furono sempre disponibili per un autografo, un sorriso o una chiacchierata con chiunque li avvicinasse.

La voce di Mark, che rimase impressa a Dana in quello studio di registrazione, divenne il marchio di fabbrica della band. Non erano solo potenza e estensione fenomenali: c’era qualcosa di unico in quel timbro, una qualità che li distingueva da tutte le altre band dell’epoca.

Gli album successivi, “Fear No Evil” (1995), “Revolution” (1997) e “Back to Reality” (1999), mostrarono una band che, pur attraversando momenti difficili tra i quali la tragica e dolorosa perdita del chitarrista Tim Kelly (sei sempre con noi) nel 1998, non perse mai la sua identità. Rimasero fedeli alle loro radici di Las Vegas: diretti, autentici, lontani dal modo di vedere le cose tra le strade di Hollywood e in tutta Los Angeles.

Oggi, dopo più di trent’anni, gli Slaughter continuano a portare ben visibile e con orgoglio la bandiera di Las Vegas nel mondo del rock. Mark Slaughter, Dana Strum e Jeff Blando, Blas Elias ha intrapreso altri progetti, rappresentano qualcosa di raro nel mondo della musica: una band che non ha mai dovuto fingere di essere qualcosa di diverso da ciò che era.

Per chi, come me, li ha scoperti in gioventù, gli Slaughter sono la prova che si può venire da una città non considerata “rock”, si può mantenere il controllo creativo totale sulla propria musica e si può rimanere autentici in un mondo musicale decisamente complicato. Dal primo incontro in studio tra Mark e Dana fino ai giorni nostri, hanno mantenuto quella scintilla speciale che nasce solo quando il talento incontra l’autenticità. Questa è una lezione che vale la pena ricordare, oggi più che mai.