Dio: Dreamers Never Die – Una Storia di Metal e Magia

C’è qualcosa di particolarmente magico che accade quando assisti a “Dio: Dreamers Never Die”. È come se il nostro amato Ronnie si sedesse accanto a noi sul divano per raccontarci la storia più bella di sempre. Questo documentario uscito nel 2022 e creato con amore e profondo rispetto da Don Argott, Demian Fenton e Wendy Dio per BMG, è molto più di un semplice docu-film: è un abbraccio affettuoso a tutti noi che abbiamo nel cuore l’heavy metal e il suo esponente più gentile. Pensate di aprire un vecchio album di fotografie, dove ogni pagina racconta un pezzo di storia che ci appartiene. Eccoli qui, i nostri eroi: Tony Iommi e Geezer Butler che sorridono ricordando il loro amico, Jack Black che parla di Ronnie con gli occhi di un fan che non ha mai smesso di sognare. Ogni testimonianza è come una carezza al cuore. Che meraviglia scoprire che il nostro Ronnie, quello che ci ha fatto volare con draghi e arcobaleni nel buio, iniziò studiando e suonando la tromba. Il nostro eroe faceva doo-wop con i The Vegas Kings, cantò dolci ballate d’amore prima di diventare la voce tonante che tutti adoriamo. C’è qualcosa di incredibilmente tenero in questo inizio, come se il destino stesse preparando il palcoscenico per qualcosa di eterno e straordinario.

Il viaggio continua. Nel 1975, il maestro Ritchie Blackmore cercò una voce per i suoi Rainbow. Trovò questo ragazzo italo-americano dal cuore grande e dalla voce ancora più immensa. Insieme crearono magia pura: “Man on the Silver Mountain” nacque in quei giorni benedetti, e il metal non fu più lo stesso.

Poi, nel momento più buio dei Black Sabbath, quando Ozzy se ne andò e tutti pensarono fosse finita, arrivò lui, il nostro Ronnie. Non solo salvò la band: la portò ai massimi livelli con “Heaven and Hell”. Sebastian Bach degli Skid Row, con energia e trasporto, racconta come quegli album furono così importanti per la sua crescita umana e artistica.

Passò qualche anno e nel 1983, con la nascita della band Dio, il nostro eroe uscì sui mercati con “Holy Diver”, un album straordinario riconosciuto come forse il migliore disco metal mai realizzato. Ascoltarlo e riascoltarlo ancora oggi è un’esperienza extrasensoriale: non lo dimentichi mai. Se non l’avete ancora messo sul piatto, fatelo. Fatelo subito. Vi cambierà la vita, proprio come ha cambiato la mia e quella di più generazioni.

Il documentario è un tesoro di momenti che ti scaldano il cuore. Rob Halford dei Judas Priest parla di Ronnie come si parla di un fratello maggiore. Il gesto delle corna, che tutti noi alziamo al cielo ancora oggi ai concerti, nato dal gesto scaramantico che la nonna italiana gli aveva insegnato in infanzia, è un piccolo pezzo di casa tricolore che è diventato il simbolo di un’intera comunità.

La parte più commovente? Vedere quanto Ronnie fosse genuinamente buono. Dopo ogni concerto, anche quando era provato e stanco, si fermava per ore. Voleva incontrare tutti, ascoltare le loro storie, abbracciare i suoi amici più puri, i suoi fan. Non era una star distante: era uno di noi, che viveva semplicemente il suo sogno.

Anche negli ultimi giorni in ospedale, lottando contro un cancro allo stomaco, Ronnie rimase il guerriero che abbiamo sempre amato. Forte, indomito, con quel sorriso che non si spense mai.

“Dreamers Never Die” è come una lunga, calda serata passata a ricordare un amico che ci ha insegnato a sognare in grande. È la storia di un uomo che ha dato voce ai nostri desideri più audaci.

Ogni volta che alziamo la mano cornuta durante un concerto, un pezzo del cuore di Ronnie vive in noi. Questa, credo proprio, sia possa chiamare immortalità.