In un ambiente clinico, dove ogni secondo è calcolato e le procedure sono rigorosamente standardizzate, l’interazione umana genuina può sembrare una rarità. Durante il mio recente intervento al Reparto Dermatologia del Policlinico di Milano, ho incontrato un’infermiera che ha sfidato questa norma. La sua presenza non era solo rassicurante dal punto di vista professionale, ma anche straordinariamente umana.
Uno degli aspetti più sorprendenti è stato il nostro dialogo su “Ghost”, un film che ha segnato generazioni. In una situazione dove la maggior parte delle persone sarebbe concentrata sul prossimo passo della procedura medica, questa infermiera ha saputo allietare il mio stato d’animo attraverso una conversazione coinvolgente e appassionata sul film. Questo dialogo ha avuto il potere di trasformare una sala operatoria in un luogo dove l’arte e la cultura avevano la loro rilevanza, riducendo così il mio nervosismo.
Separatamente, l’infermiera e io abbiamo toccato il tema della vita dopo i cinquant’anni. Con saggezza e ottimismo, abbiamo discusso di come, in questa fase della vita, ci si possa ancora aspettare cambiamenti e opportunità straordinarie. L’idea che la vita può offrire rinascite e nuove direzioni anche quando si raggiunge un’età considerata “avanzata” è stata fonte di conforto e ispirazione.
Entrambe queste conversazioni hanno avuto un impatto ben oltre il contesto immediato del mio intervento. Mi hanno ricordato che la cura del paziente è un mosaico complesso che unisce competenze tecniche a quelle relazionali e umane. In un mondo in cui la sanità è sempre più tecnologizzata e impersonale, l’esperienza con questa infermiera eccezionale mi ha rinnovato la convinzione che l’elemento umano rimane irrinunciabile nella pratica medica.