Eravamo alla fine degli anni ’80 e l’hair metal dominava le classifiche in gran parte dei paesi del mondo. In questo panorama cercavano di farsi strada anche gli Skid Row, una giovane band di ragazzi del New Jersey con il fuoco nelle vene e la voglia di spaccare nel mondo del rock ‘n’ roll. Il loro asso nella manica era il carisma magnetico del cantante Sebastian Bach, dotato di una voce potente e graffiante che non passava per niente inosservata.
Nonostante il talento innegabile, per gli Skid Row le porte del successo sembravano ostinatamente chiuse fino al giorno in cui il destino decise di mettere sulla loro strada Jon Bon Jovi, certo, proprio lui. Jon aveva un fiuto raffinato per il talento e quando vide gli Skid Row durante un’esibizione dal vivo capì che quei ragazzi avevano qualcosa di decisamente speciale. Jon, poco tempo dopo, fece loro una proposta allettante: li avrebbe portati in tour come band di supporto, garantendogli un’esposizione incredibile. In cambio, però, gli Skidz avrebbero dovuto firmare un contratto editoriale con la sua società, la Underground Music Company, cedendo una percentuale generosa dei diritti sul loro primo album in caso di successo.
Bas, Snake, Rachel, Scotti e Rob, giovanissimi e desiderosi di affermarsi, videro in quell’offerta il trampolino di lancio che aspettavano da tempo. Senza pensarci troppo, firmarono nero su bianco con la società di Jon, ricordiamo anche in questa occasione, grande amico di infanzia di Snake.
L’album di debutto del 1989, intitolato semplicemente “Skid Row”, fu un successo dirompente. Trainato da hit come “18 and Life”, “I Remember You” e “Youth Gone Wild”, vendette milioni di copie e trasformò in pochissimo tempo i ragazzi in superstar del metal. I palazzetti erano sempre affollati, le fan in delirio, il sogno era diventato realtà.
Ma la favola aveva, ovviamente, anche un lato commerciale. Quando arrivarono le prime royalties del disco, gli Skid Row rilevarono che una fetta decisamente considerevole dei profitti sarebbe giunta a Jon Bon Jovi e Richie Sambora.
La band si sentì al momento tradita e amareggiata. Avevano lavorato così duramente per quel successo e ora dovevano rinunciare a una parte consistente dei loro guadagni. Ci furono discussioni ma alla fine Sambora, in un gesto di parziale riconciliazione, decise di restituire la sua parte di guadagni.
Ci vollero anni perché Bas metabolizzasse attentamente quell’episodio. Col senno di poi, capì che la rabbia aveva offuscato il suo giudizio. In fondo, senza l’aiuto provvidenziale di Jon per averli introdotti nell’ambiente e nei grandi live, gli Skid Row sarebbero potuti rimanere nell’oscurità per sempre, come le centinaia di hair band che affollavano il Sunset Strip senza mai sfondare.
Sebastian si rese in seguito conto che quel contratto, per quanto fosse sembrato inizialmente svantaggioso, era invece stato il prezzo per realizzare il loro sogno. Jon aveva scommesso su di loro quando nessun altro ci avrebbe creduto, meritava giustamente una ricompensa per questo dono straordinario.
Con la maturità, Sebastian imparò a guardare quell’episodio sotto una nuova luce. Capì che nel music business nulla è gratis e che a volte bisogna accettare dei compromessi per emergere. L’importante è rimanere fedeli a se stessi e alla propria musica, senza farsi abbattere dagli ostacoli.
Gli Skid Row andarono avanti, più forti di prima. I contratti per i dischi successivi furono rinegoziati in modo più vantaggioso per la band e Sebastian trasformò quella lezione difficile in una nuova consapevolezza, che lo avrebbe guidato per il resto della sua carriera.
Perché alla fine, quello che conta davvero sono le canzoni, il sudore sul palco e l’amore smodato per il proprio pubblico. Il resto sono solo dettagli, perdibili nella grande avventura del rock and roll.
Fonti:
Informazioni tratte da Intervista a Sebastian Bach con ArtScenics TV (2013), Music Business Facts (2015), Blabbermouth (2024)